Carlo dove sei?
Cerca se c’è un treno, prendi il primo aereo, noleggia un’auto.
Torna a casa.
Il Papà.
Arrivati all’ospedale siamo entrati in un ascensore che ci ha portati dritti al piano di sotto dove vanno a
nascondersi dalle altre anime gocciolanti le anime silenziose delle persone
immobili quando non ce la fanno più.
Filtrata dalle lenti di occhiali da sole che
sembrano essere impenetrabili l’espressione degli occhi cambia, si gonfia.
Magari da fuori non si vede, ma anche il tuo
spirito cambia alle prese col vivere quotidiano.
Sembri intatto ma non lo sei, sei disgregato,
sgretolato.
Dritti per un corridoio buio e lungo che credo sia
come descrivere l’entrata nell’aldilà, fino a una stanza vicina ad altre stanze
dove, altre persone con gli occhi gonfi di pena accarezzano con lo sguardo
altri visi mai visti prima.
Cammino avanti e indietro, esco, fumo, rientro e
guardo altri volti.
Tutto intorno si muove, perché è così, è la vita
che è cosi; quando si avvita ci sono volte che ti svita.
Qualcuno accende delle candele che sembrano
lampadine che riflettono sui muri una luce disordinata, fiacca e giallina.
Forse perché anche loro non vogliono disturbare.
Qualcuno recita il rosario a bassa voce, piano ma
senza tregua.
Loro fanno quello che devono fare, cercano di
lenire la tua sofferenza solo perché è quello che devono fare.
Hanno un lavoro importante da fare, rendere bello
quello che bello non è mentre intorno a te tutto cambia.
E’ quasi mattina, fuori, piove.
Preferisco tornare a casa a piedi per sentire meglio la pioggia
che mi sbatte contro il viso.
Cremona, 2 novembre 2018 - Ciao Papà
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