Secondi cugini, andavamo a scuola insieme, un anno compagni di classe, in quinta elementare.
Non aveva ancora finito di studiare che già lavorava andando a spaccare legna con sua mamma e suo papà nei boschi della bassa vicino al Po, e a consegnarla nelle case con quei tricicli da consegna.
E intanto si faceva i muscoli.
Da li credo sia nata la sua passione per la bici, gli covava dentro.
Con Gianmario ogni corsa era un’avventura.
Appennino parmense.
A tre chilometri dall’arrivo, il gruppo di testa prima sbanda, poi deraglia, gli altri piombano a terra, lui addirittura vola dentro un fosso.
Prima di capire che cosa gli è successo e riprendersi dallo shock, vede sfrecciare il secondo gruppo di corridori, che da inseguitori diventano fuggitivi.
Non resiste alla tentazione e allora, bagnato fradicio torna sulla strada, tenendo ferma la ruota davanti tra le gambe, raddrizza il manubrio, si rimette in sella e comincia a correre come un matto per recuperare, e ad acciuffarli, a uno a uno.
Più per passione che per rabbia, più per senso di giustizia che di vendetta.
Li prende, se la giocano in volata e vince.
La prima vittoria della sua carriera.
Di corse non ne ha vinte altre.
Per mancanza di qualità è vero, ma non per carenza di volontà, ma anche soprattutto per mancanza di circostanze, di occasioni, di opportunità come quella volta sull'Appennino parmense.
Lui, Gianmario mio cugino era fatto così.
Domenica 3 febbraio 2019 - mi ricordo di Gianmario, mio cugino